K metro 0 – Belfast – Operazione Demetrius, 9 agosto 1971. Un reggimento di paracadutisti dell’esercito di Sua Maestà britannica, di stanza a Belfast, fa irruzione nel quartiere cattolico della capitale dell’Irlanda del Nord. L’obiettivo è quello di arrestare i sospetti militanti dell’IRA (l’esercito repubblicano irlandese). La popolazione dei distretti cattolici reagisce alzando le barricate.
K metro 0 – Belfast – Operazione Demetrius, 9 agosto 1971. Un reggimento di paracadutisti dell’esercito di Sua Maestà britannica, di stanza a Belfast, fa irruzione nel quartiere cattolico della capitale dell’Irlanda del Nord.
L’obiettivo è quello di arrestare i sospetti militanti dell’IRA (l’esercito repubblicano irlandese). La popolazione dei distretti cattolici reagisce alzando le barricate. Scoppiano scontri con il vicino quartiere protestante, separato da una barriera alta meno di due metri. Lanci di pietre. Colpi di fucile. Ci scappa almeno un ferito.
L’esercito interviene per porre fine ai disordini. A tarda sera iniziano le sparatorie mortali. In tre giorni, dal 9 all’11 agosto, 11 civili cadono sotto i colpi delle pallottole. I parà sostengono che hanno risposto al fuoco dei militanti repubblicani. Ma sui cadaveri non erano state trovate armi.
Sei civili cadono il 9 agosto. Uno il giorno dopo. Altri quattro l’11 agosto. Una strage in breve sequenza.
Omicidi di Stato, è la sentenza pronunciata a cinquant’anni di distanza dalla giudice Siobhan Keegan del tribunale di Belfast. Tutti, tranne uno sono stati uccisi da soldati britannici, inviati per una missione di pace (sic!) nell’Ulster.
L’esercito britannico fece “un uso sproporzionato” della forza secondo Siobhan Keegan: “tutte le vittime erano completamente innocenti”
Una strage compiuta al culmine di “The Troubles”, il conflitto tra cattolici (filoinglesi) e protestanti (nazionalisti, fautori dell’unificazione di tutta l’Irlanda sotto il governo di Dublino) che ha infuriato per oltre tre decenni fino al 1998.
La giudice Keegan ha suddiviso i 10 morti in cinque indagini e ha emesso vari verdetti. L’aula ha risuonato con gli applausi delle famiglie dopo che ciascuno dei cinque verdetti è stato pronunciato nel corso di tre ore.
Decine di parenti sono arrivati in tribunale all’inizio della giornata, stringendo le foto dei loro cari e indossando magliette con i loro ritratti.
“Sono passati 50 anni”, ha detto, piangendo, Joan Connolly, 63 anni, che perse allora la madre caduta sotto i proiettili dei parà. “Hanno distrutto le nostre vite. Ma oggi abbiamo finalmente giustizia”.
“Questa è la prima volta che il governo britannico è stato ritenuto responsabile in un tribunale”, ha detto Pedrig O Muerig, un avvocato delle famiglie delle vittime.
La strage di Ballymurhy fu seguita, sei mesi dopo, dal Bloody Suunday (la domenica di sangue) di Derry, nell’Ulster, quando lo stesso reggimento di parà, agli ordini del generale Mike Jackson, sparò contro una folla di manifestanti causando la morte di 14 persone.
Per quarant’anni, i familiari delle vittime condussero una battaglia pacifica per restituire giustizia ai caduti.
Nel gennaio del 2010, durante la marcia annuale in ricordo del Bloody Sunday di Derry, vi fu un ideale passaggio di testimone tra i familiari delle 14 vittime di Derry e quelli delle vittime della strage di Ballymurphy. E finalmente, nel giugno dello stesso anno, arrivarono le tanto attese scuse del governo inglese che a conclusione del rapporto sulla strage redatto da Lord Saville, riconosceva la natura ingiustificata di quella carneficina contro pacifici manifestanti.
Un evento che riaccese la speranza tra i familiari delle vittime di Ballymurphy. Tutte le inchieste su questa strage si erano sempre arenate contro un muro di gomma istituzionale. Poi nel 2016, il giudice a capo dell’Alta Corte dell’Irlanda del Nord, Declan Morgan avvia un’inchiesta che si è conclusa con la sentenza emessa ieri dalla giudice Keegan, che spazza via tutte le inchieste farsa precedenti. E dà finalmente il via al processo contro i presunti responsabili di quel massacro.