K metro 0 – Roma – Mancano poche ore al mattino. Immaginiamoci un vecchio canuto, dai lunghi baffi all’ingiù, afflosciati, piangenti come i rami di un salice, spenti come gli occhi, sempre più vitrei da una malattia che, incurante del valore dell’uomo, scava solchi profondi nel corpo, nell’anima, nello spirito. Un anziano signore sopito, ma
K metro 0 – Roma – Mancano poche ore al mattino. Immaginiamoci un vecchio canuto, dai lunghi baffi all’ingiù, afflosciati, piangenti come i rami di un salice, spenti come gli occhi, sempre più vitrei da una malattia che, incurante del valore dell’uomo, scava solchi profondi nel corpo, nell’anima, nello spirito. Un anziano signore sopito, ma cosciente, su una sedia a dondolo, mentre il camino dietro di lui sfrigola. Una donna, sua sorella, procede avanti e indietro, guardandolo di sfuggita, cercando di indovinare l’ultimo anelito di vita del filosofo del secolo. Un sospiro, un rantolo, l’ultimo, prima del trapasso finale, all’alba. Il vento smette di soffiare. E’ Friedrich Wilhelm Nietzsche, nato a Röcken in Sassonia nel 1844 e morto a Weimar, il 25 agosto nel 1900 allo scocco del nuovo secolo. Visse una vita ritirata, forse più statica di quello che avrebbe voluto. Come quei bambini che sognano di essere pirati ma, da adulti, si ritrovano a fare gli impiegati del catasto. Questa “libido” tuttavia la incanalò in un percorso di riflessione filosofica oscillante tra l’ironico e il tragico, nel tentativo di operare una vera e propria palingenesi mitica dell’Occidente, di quelle rovine che Julius Evola cantò, malinconico, decenni dopo. Nietzsche è indecifrabile per i dotti. Figuriamoci per tutti gli altri. Non che egli si fosse mai curato degli “altri” che, al massimo, poteva onorare con il più severo disprezzo. Ci prova una studiosa lucana prestata ad Albione. Laura Langone, autrice de “Nietzsche: filosofo della libertà” (Edizioni ETS), attualmente svolge il Dottorato di ricerca in Germanistica all’Università di Cambridge, in Gran Bretagna. Laureatasi con lode in Filosofia all’Università «La Sapienza» di Roma con una tesi su Nietzsche, fu vincitrice del Primo Premio per la sezione «saggio filosofico inedito» nella XI edizione del Premio Nazionale di Filosofia «Le figure del pensiero». Il libro di Laura Langone si discosta da tutto il filone narrativo che, in precedenza, si è occupato del filosofo tedesco. Lei si concentra su temi quali la libertà, l’indipendenza, l’emancipazione: vivere pericolosamente è prendere coscienza di sé, quando tutto intorno a noi vorrebbe omologarci, chiuderci in una stanza che, giorno dopo giorno, si contrae; una gabbia in cui irretire e in cui si sviluppa qualcosa di selvaggio: il mostro hitleriano della Seconda guerra mondiale, tutto l’opposto dell’Oltre uomo immaginato da Nietzsche, che ci sprona ad abbandonare scienza dogmatica e tecnologia per sciogliere le vele e salpare verso nuovi orizzonti. Uno sguardo che ci distolga da fake news e da post su Instagram, Facebook, Twitter, facendoci alzare lo sguardo chino, finalmente illuminato dal sole di quella conoscenza che passa attraverso una somma presa di coscienza. La prospettiva di Laura Langone è la prima genuina dopo quella espressa da Martin Heidegger; una sensibilità, non a caso, captata dalla Germania in cui ella si trova, e dall’Inghilterra, da quella università che vide a Cambridge levarsi alti i fasti degli ultimi secoli di intelletto. La libertà è una forma di disciplina, riservata a quei pochi che Nietzsche intuì essere i posteri che avrebbero intuito la dinamite delle sue lettere; contro una fede fatta di abitudini, un’ideologia fondata sul mito della razza, ed un patriottismo che fu ed è l’ultimo sponsor per le canaglie. A quelle generazioni ne seguirono altre, fino alla nostra, in cui il Dio morto nei campi di sterminio resta a marcire solto coltri di consumismo. Lontana è madama libertà che, una volta raggiunta, smette di essere desiderata. Quella libertà che, in qualsiasi luogo in cui ci troviamo, in cui vi siano risate e lacrime, sorrisi, nuvole e uccelli, ci faccia sentire a casa nostra, nella stessa possibilità di vedere gli altri come nostri parenti, come una famiglia acquisita che ci siamo scelti. Nella stessa possibilità di amare. Perché tutto ciò che facciamo per amore è al di là del bene e del male.
di Danilo Campanella