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Etica, linguaggio universale delle religioni – Parte III

Etica, linguaggio universale delle religioni – Parte III

K metro 0 – Roma – In Cina Confucio (551 – 479 a. C.) aveva sostenuto che nei rapporti sociali, compresi quelli tra governanti e governati, non era la forza a dover prevalere o la coazione, bensì la persuasione, il ragionamento, per addivenire ad una soluzione basata sul consenso scaturente da una razionalità comune e

K metro 0 – Roma – In Cina Confucio (551 – 479 a. C.) aveva sostenuto che nei rapporti sociali, compresi quelli tra governanti e governati, non era la forza a dover prevalere o la coazione, bensì la persuasione, il ragionamento, per addivenire ad una soluzione basata sul consenso scaturente da una razionalità comune e condivisa (la teoria del consenso era la medesima che si ritroverà nel contrattualismo occidentale) .

Sono state riscontrate sorprendenti assonanze filosofiche, teologiche ed artistiche tra cristianesimo, induismo, Islamismo, buddhismo, pensiero greco classico, le quali assonanze sono state definite con efficacissima sintesi espressiva “dialetti di un unico linguaggio spirituale”.

Oggi, nel terzo millennio, un sorprendente veicolo di giustizia universale che ha trasceso le dimensioni del tempo e dello spazio, si è rivelato essere il diritto romano giustinianeo, che conosce una nuova giovinezza: è infatti oggetto di studio in ben 130 Università della Cina, dove costituisce la base del diritto privato, mentre il Common Law è la normazione di riferimento per i rapporti commerciali e delle imprese.

Il fenomeno della resurrezione del Diritto romano trascende la pur rilevante dimensione culturale, poiché la sua recezione nell’ex Celeste Impero, facilita i rapporti di quest’ultimo con l’U.E., attraverso la condivisione dei contenuti logici e sostanziali delle norme civilistiche.

Ben diverso – rispetto alle teorie prevalenti per sommi capi menzionate- fu il tracciato logico- argomentativo che avrebbe contribuito allo sviluppo di sistemi liberticidi di destra e di sinistra, che prese le mosse dal pensiero di G. Hegel (1770- 1831), il quale configurò uno Stato “etico”, ravvisandovi la più alta espressione di libertà nel mondo. Lo Stato qui non era la risultante della somma di volontà individuali, ma veniva a porsi esso stesso come uno “spirito vivente” o “ragione incarnata”, frutto millenario di una razionalità che era venuta a concretizzarsi visibilmente in uno stabile assetto istituzionale, sottratto alla mutevolezza del pensiero e della forza dei singoli individui.

A fronte della mostruosa statolatria hegeliana, nelle democrazie liberali ha trionfato Kant (1724-1804) , teorizzatore- come è noto- della funzione ancillare dello Stato rispetto all’individuo, portatore di un’etica naturale preesistente allo Stato medesimo.

Durante l’udienza con i Rappresentanti del Parlamento europeo, il 25 novembre 2014 il Santo Padre evidenziò la significativa rappresentazione dell’affresco Scuola di Atene dipinta da Raffaello (1483- 1520) nella Stanza della Segnatura, simboleggiante l’incontro ideale tra vari filosofi del mondo pagano, distanti nello spazio e nel tempo, ma accomunati nella dimensione dell’Eterno, tra cui il musulmano Averroè (1126- 1198) ed i greci Platone (428-348 a.C.) ed Aristotele (384- 322 a.C.) .

Papa Bergoglio (1936) affermò che Platone, con il dito che punta verso il cielo ed Aristotele, che tende la mano verso la terra, erano “un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta dal continuo incontro tra cielo e terra”.

Che esistesse un substrato di principi perenni comuni a tutti i popoli, era stato affermato già da Cicerone (106- 43 a.C.) “Opinionum commenta delet dies, naturae iudicia confirmat” (il tempo cancella la variabilità delle opinioni, [ma]rafforza il giudizio della Natura)

Questo è il terreno logico al quale vanno riferite le non sorprendenti assonanze fra le maggiori religioni giunte fino ai giorni nostri, nelle quali è dato riscontrare una serie di significativi, e perciò non sorprendenti, principi comuni.

Nel corso della storia ci sono stati bensì conflitti sanguinari tra cristiani e cristiani, ebrei e cristiani, cristiani e musulmani, ma più spesso per motivi egemonici, che per incompatibilità tali da giustificare delle guerre di religione.

Come è noto, i sistemi giuridici più diffusi sono quello della civil law, di derivazione romanistica, quello anglosassone del common law, quello islamico fondato sulla sharī’a (retta via) , i quali hanno un singolare substrato comune.

È storicamente accertato un graduale recepimento di principi romano-bizantini nella legislazione islamica sin dai suoi albori, venuto ad incrementarsi in seguito alle relazioni commerciali, come alle guerre combattute tra due mondi che finirono con l’integrarsi in una dimensione di mutuo arricchimento culturale.

Nell’orbe musulmano sin dalla fine del sec. VII era iniziata l’elaborazione di un sistema di diritto e della correlata scienza, che sarebbero stati redatti per iscritto nel secolo successivo ad opera delle prime vere e proprie scuole di giurisprudenza. In campo processuale i giudici fecero ricorso all’equità, né più né meno dei loro omologhi bizantini.

Principio, quest’ultimo, che è testualmente sancito nel Corano, come canone fondamentale di una giustizia non meramente formale, ma sostanziale, così richiamato: ”O voi che credete e state ritti innanzi a Dio come testimoni d’equità, non vi induca l’odio contro gente empia ad agire ingiustamente. Agite con giustizia, che questa è la cosa più vicina alla pietà, e temete Dio, poiché Dio sa quel che voi fate.”

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