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Chi sta vincendo il conflitto Israelo-Palestinese?

Chi sta vincendo il conflitto Israelo-Palestinese?

K metro 0 – Roma – È possibile tentare un’analisi equilibrata del conflitto israelo-palestinese alla luce del voto di fiducia previsto per oggi alla Knesset, il Parlamento israeliano, al primo governo che porrà fine, dopo quindici lunghissimi anni, all’era Netanyahu, anche come risultato dalla recente ondata di violenza che ha tenuto il mondo politico e

K metro 0 – Roma – È possibile tentare un’analisi equilibrata del conflitto israelo-palestinese alla luce del voto di fiducia previsto per oggi alla Knesset, il Parlamento israeliano, al primo governo che porrà fine, dopo quindici lunghissimi anni, all’era Netanyahu, anche come risultato dalla recente ondata di violenza che ha tenuto il mondo politico e diplomatico col fiato sospeso per undici terribili giorni?

Gli speciali Occhiali Magici identitari ci permettono di vedere i recenti tragici eventi a Gerusalemme e Gaza sotto una luce diversa, soprattutto in vista del loro contesto geopolitico e delle loro prospettive. Due eventi simultanei, apparentemente scollegati, verificatisi Venerdì 21 Maggio 2021 mostrano meglio di qualsiasi altra parola o immagine, chi è il reale vincitore tra i due modelli identitari opposti (e le rispettive élites) – quello glocalista abramitico transfrontaliero e quello statista vestfaliano frontaliero – che si confrontano durante il conflitto: la svolta annunciata nella conferenza stampa del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden sulla Soluzione a Due Stati (Two-States Solution) per il conflitto, e la protesta dei palestinesi mussulmani contro il Mufti dell’Autorità palestinese a Gerusalemme per non aver menzionato Gaza durante il suo sermone alla Moschea di Al-Aqsa, sull’Haram Al-Sharif/Har ha Bait (Spianata delle Moschee per i mussulmani/Monte del Tempio per gli ebrei).

La trascrizione integrale della citata conferenza stampa di Biden può contribuire a rendere questo risultato ancora più chiaro: “Non c’è alcun cambiamento nel mio impegno per la sicurezza di Israele, punto. Nessun cambiamento, assolutamente, ma dirò dove effettivamente c’è una svolta. La svolta è che adesso riteniamo necessaria una Soluzione a Due Stati (Two-State Solution), e questa è l’unica risposta, l’unica risposta”. La svolta dal precedente approccio glocalista abramitico del Presidente Trump, dove le identità collettive rilevanti erano comunità di ispirazione religiosa, non potrebbe essere più evidente.

Il contesto geopolitico rilevante della recente ondata di violenza riguarda: 1. Tempistica: per la prima volta dall’assassinio del Primo Ministro Israeliano Yitzhak Rabin nel 1995, per la regione del Medio Oriente si presenta una finestra di opportunità per profondi cambiamenti strategici, nonostante tutte le difficoltà sulla strada. 2. Prospettiva: la recente ondata di violenza ha influenzato direttamente i negoziati per formare una possibile coalizione parlamentare di governo per rimpiazzare il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed il suo governo. 3. Consapevolezza: i tre attori principali dietro le decisioni politiche di iniziare i recenti scontri violenti, vale a dire Marwan Barghouti, Yehiyeh Sinwar, ed Isma’il Haniyeh, erano ben consapevoli delle due succitate questioni in gioco e probabilmente si sono coordinati per raggiungere obiettivi comuni, finalizzati soprattutto alla richiesta di imminenti elezioni palestinesi, dopo 15 anni di paralisi democratica con Abu Mazen. 4. La natura degli eventi: la violenza si è sviluppata per ragioni territoriali, laiche, e non religiose, anche se le proteste sono iniziate a Gerusalemme, in particolare sulla celebre Spianata. 5. Il ruolo degli Stati Uniti: il Presidente Biden ha seguito molto attentamente il corso degli eventi, nonostante il suo ruolo apparentemente di basso profilo. 6. Gli arabi israeliani: la loro partecipazione senza precedenti nelle attuali rivolte palestinesi hanno avuto un impatto sulla nuova coalizione di governo, la quali, per la prima volta dalla nascita dello Stato d’Israele nel 1948, necessita del supporto arabo israeliano, a seguito delle ultime elezioni della Knesset del 23 Marzo 2021. 7. L’odierno contesto geopolitico del Medio Oriente: ogni tentativo di comprendere la situazione deve partire da una visione d’insieme dell’enorme impatto della Presidenza americana di Biden sulla regione e oltre, al fine di prevedere anche la sua via d’uscita guidata strategica.

Un’analisi imparziale spiega l’effetto della nuova presidenza degli Stati Uniti, e aiuta a prevedente come Biden sta guidando i recenti drammatici scontri verso un esito positivo.

Una Cronologia degli eventi più significativi che hanno condotto agli ultimi 11 giorni di rivolte e violenze israelo-palestinesi potrebbero aiutarci a comprendere l’origine eziologica degli sviluppi attuali e futuro: 1. La notte del 13 Aprile 2021, il primo giorno del mese sacro musulmano del Ramadan, Giorno della Memoria in Israele: incidente dell’altoparlante. 2. 21 Aprile, solo una settimana dopo il raid della polizia: marcia degli estremisti ebrei. 3. 29 Aprile: Abbas cancella le elezioni Palestinesi. 4. 4 Maggio, sei giorni prima dell’inizio della guerra: avvertimento di Hamas. 5. 7 Maggio (l’ultimo venerdì del Ramadan, una delle sue notti più significative, poco dopo le 20:00): raid della polizia israeliana sull’Haram Al-Sharif. 6. 10 Maggio: l’ultima udienza della Corte Suprema israeliana su Sheikh Jarrah, in coincidenza con la Giornata di Gerusalemme (poco dopo le 18:00 inizia il lancio dei razzi da Gaza). 7. 15 Maggio: Giornata della Disfatta (Nakba Day) palestinese.

Per comprendere meglio la natura e l’evoluzione del conflitto israelo-palestinese è fondamentale tenere conto del fatto che i suoi protagonisti appoggiano e sostengono rispettivamente due modelli identitari opposti: quello vestfaliano statista frontaliero, promosso dal Presidente americano Joe Biden, dal defunto Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin, dal leader palestinese Fatah dell’OLP Marwan Barghouti, dal Capo della sezione palestinese di Hamas a Gaza Yehiyeh Sinwar, dal Presidente dell’Ufficio Politico di Hamas e (contestato) Primo Ministro dell’Autorità palestinese Isma’il Haniyeh.

In alternativa, il modello identitario transfrontaliero glocalista abramitico, promosso dall’ex-Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dal Mufti di Gerusalemme dell’Autorità Palestinese Mohammed Hussein, dal Primo Ministro israeliano Benjamin (Bibi) Netanyahu, dal Presidente dell’OLP e Presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas), e dal (contestato) Primo Ministro palestinese Mohammad Shtayyeh.

In conclusione, l’auspicio è che tutti ascoltino l’appello a rinnovare i negoziati israelo-palestinesi che il Presidente Biden sta proponendo in collaborazione con il Quartetto (USA, UE, ONU, e Russia), come quelli del Presidente della Commissione esteri della Camera on. Piero Fassino – che in un recente articolo pubblicato dal CESPI, intitolato “Medio Oriente: adesso riaprire il cammino del negoziato” evidenzia tra le ragioni per cui Abu Mazen ha rinviato le attese elezioni presidenziali e parlamentari il fatto che “Hamas avrebbe avuto evidenti maggiori chances di conquistare la leadership anche in Cisgiordania” – o della Presidente della Commissione Difesa del Senato on. Laura Garavini – che in Parlamento ha invitato a “creare i presupposti per dare concretizzare il principio Due popoli, Due Stati, che ad oggi è l’unica soluzione per garantire la pace”: la conclusione comune è che dopo anni in cui sembrava che il conflitto israelo-palestinese potesse essere accantonato e le istanze palestinesi finire nel dimenticatoio, l’attualità dimostra come quel conflitto continui ad essere centrale per la sicurezza del Medio oriente e del Mediterraneo.

di Enrico Molinaro, Ph.D.

Segretario Generale

Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo (RIDE-APS)

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