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Usura tra crisi economica e dignità umana

Usura tra crisi economica e dignità umana

K metro 0 – Roma – Un problema  ricorrente nei periodi di crisi economica è quello dell’usura, non solo dal punto di vista penale, ma anche dal punto di morale, in quanto grava prevalentemente su fasce disperate di persone provate da crisi di mercato (imprenditori, artigiani, mercanti), o sanitaria  (gente comune)come nel caso del coronavirus,

K metro 0 – Roma – Un problema  ricorrente nei periodi di crisi economica è quello dell’usura, non solo dal punto di vista penale, ma anche dal punto di morale, in quanto grava prevalentemente su fasce disperate di persone provate da crisi di mercato (imprenditori, artigiani, mercanti), o sanitaria  (gente comune)come nel caso del coronavirus, che ha ridotto sul lastrico milioni di soggetti nel mondo, con la contemporanea ricomparsa della rete “fognaria”del solidarismo usuraio, da parte della  malavita organizzata.

L’usura- come è noto- consiste nel prestito di una somma di danaro ad interessi esorbitanti, o comunque al di sopra del limite consentito dalla legge vigente(p. es. oggi in Italia su di un tasso medio del 10.62 %, non deve superare il 17.2750%). Nell’età medioevale tuttavia era considerato usuraio da parte della Chiesa cattolica qualsiasi prestito di danaro che fruttasse interessi, a prescindere dal relativo ammontare; ma siffatto divieto era operante ( e lo è in linea di massima ancora oggi) anche nel mondo islamico, per cui l’attività bancaria veniva esercitata esclusivamente da banchieri di fede ebraica.

 Il divieto in parola traeva origine dalla sottomissione dell’economia alla morale, fondata sui principi della carità e della giustizia solidale.

Detta impostazione rigoristica sopravvisse nel protestantesimo luterano; ma con Calvino si sostenne viceversa il principio della fecondità del denaro, mentre in campo cattolico il divieto del prestito fruttifero veniva attenuato con numerose eccezioni.

Calvino scrisse che la salvezza non si raggiungeva mediante le opere (le quali peraltro hanno il valore di rendere gloria a Dio) ,per cui il capitalismo che si era già tuttavia “auto-affermato”, trovò nella dottrina del riformatore ginevrino una sorta di sdoganamento etico, che si diffuse prevalentemente nei Paesi protestanti del nord Europa, ed a seguire negli Stati Uniti d’America.

La dottrina calvinistica della predestinazione si basa sul concetto che ogni persona è giustificata dalla grazia divina sin dal momento della sua nascita, e non dalle azioni buone che compirà nel corso della vita. Per converso, ci sono soggetti destinati all’eterna dannazione sin dal momento in cui vengono alla luce, a prescindere dai loro comportamenti.

Questa premessa ci aiuta a comprendere meglio due atteggiamenti di fondo radicalmente antinomici:

1)quello di coloro che appartengono a delle religioni “solidaristiche”, o che non hanno il dono di una fede in particolare, i quali avvertono l’istinto naturale dell’aiuto ai più miseri, con una grande disposizione ad intervenire in sostegno del’umanità sofferente per malattia o per povertà;

2)quello di coloro che-viceversa- rimangono indifferenti innanzi agli altrui patimenti, o peggio- ed è il caso appunto degli appartenenti a Paesi protestanti a prevalente orientamento calvinista- i quali non si pongono affatto un problema morale o sentimentale di pietas. Anzi! il povero, lo sfortunato, il derelitto, è considerato “ab origine” predestinato alla dannazione eterna.

Questo è l’”humus” etico per un capitalismo attento esclusivamente alle istanze dei mercati, senza altra preoccupazione che per la crescita economica, disancorata da qualsivoglia sensibilità circa le condizioni degli ultimi della terra, ritenuti geneticamente “maledetti” nell’Aldiquà e nell’Aldilà.

Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, si è posto un rilevante problema etico- giuridico con la riforma dell’art.81 della Costituzione, statuente il principio del pareggio di bilancio, poiché nel caso di conflitto tra la salvaguardia dei diritti fondamentali che costituiscono il D.N.A della Costituzione italiana, e il rispetto dei limiti sanciti dal richiamato articolo 81, che cosa succederebbe? Oggi, in esito al coronavirus, dalla teoria si passa drammaticamente alla pratica.

In campo giuridico ne sarebbe investita la Corte costituzionale; ma in campo politico si porrebbe un problema di sopravvivenza per qualsiasi Governo, chiamato necessariamente ad optare tra la difesa dei superiori valori fondanti dello Stato nazionale ed il loro sacrificio in ossequio a vincoli europei, derivanti dai vari «patti di stabilità», «patti euro plus» ecc., concernenti valori di rango inferiore, ma in ogni caso – a prescindere dalla bontà o meno dei loro contenuti – formalmente blindati dall’antico principio di diritto internazionale «Pacta sunt servanda».

Privilegiando l’ipotesi pattizia in ultimo richiamata, si dovrebbe prendere atto della fine della sovranità nazionale, in ossequio non certo a precetti universali di giustizia ma, assai più modestamente, a direttive economiche elaborate sotto la spinta dei mercati finanziari, delle Banche centrali e così via.

L’aver sollevato il problema può aiutare ad una riflessione a livello comunitario che eviti la paralisi altrimenti prevedibile di un Paese compresso tra l’incudine del rispetto dei patti internazionali sottoscritti ed il martello del patto siglato con i propri elettori nella cornice dei valori della Costituzione, nel mentre il Paese attraversa la più grave crisi dal Dopoguerra, a causa dei postumi del citato coronavirus.

L’intervento risolutore di Ursula von der Leyen ha evitato la fine del sogno europeo, riponendo la barra sulla rotta della solidarietà.

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