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Balduzzi, della Cattolica di Milano: “urge abbassare l’età dell’elettorato passivo per non far allontanare i giovani dall’Europa”

Balduzzi, della Cattolica di Milano: “urge abbassare l’età dell’elettorato passivo per non far allontanare i giovani dall’Europa”

K metro 0 – Milano – Il prossimo 26 maggio si terranno le votazioni per il nuovo Europarlamento. Per la maggior parte dei giovani nati fra il 2000 e 2001 sarà il primo voto della propria vita. Parliamo di una generazione dalle potenzialità incredibili, con strumenti di comunicazione a disposizione e possibilità di movimento impensabili

K metro 0 – Milano – Il prossimo 26 maggio si terranno le votazioni per il nuovo Europarlamento. Per la maggior parte dei giovani nati fra il 2000 e 2001 sarà il primo voto della propria vita. Parliamo di una generazione dalle potenzialità incredibili, con strumenti di comunicazione a disposizione e possibilità di movimento impensabili fino a pochi anni fa. «Eppure, le prospettive di crescita, realizzazione e miglioramento delle proprie condizioni di vita appaiono, secondo tantissimi indicatori socio-economici molto difficoltose – spiega Paolo Balduzzi, docente di Economia pubblica e Scienza delle finanze al dipartimento di Economia e finanza dell’università Cattolica di Milano -. E ciò diventa ancora più paradossale quando si nota che, all’interno dell’Unione europea, la condizione giovanile negli altri paesi non appare così drammatica».

Intervista di Alessandro Luongo

Si spieghi meglio, professore. Cosa intende dire esattamente?

«Chi ha meno di 40 anni in questo paese è probabilmente nato in una famiglia con un reddito superiore a quello della famiglia dove erano nati i propri genitori. Tuttavia, nel corso dei decenni gli investimenti in istruzione sono diminuiti, è aumentata la precarietà del posto di lavoro, gli stipendi risultano inferiori a quelli che potevano guadagnare i propri genitori. Non è un caso che, sempre negli ultimi anni, sia aumentata, da un lato, la quota di giovani che ha deciso di trasferire la propria residenza – e competenza – all’estero (il 76 per cento degli italiani che ha portato la residenza all’estero, nel 2016, aveva meno di 40 anni secondo i dati Eurostat). Dall’altro lato, è aumentata anche la quota di giovani che ha perso fiducia nelle possibilità realizzative e di promozione di lavoro e istruzione (la quota di giovani tra i 20 e i 34 anni) Neet – Neither in Employment nor in Education nor in Training, cioè che non studiano né lavorano – in Italia è la più alta d’Europa: 29,5 per cento (dati Eurostat). E tanti altri esempi si potrebbero fare»

Perché in Austria e a Malta anche i sedicenni possono votare per il prossimo Parlamento europeo e in altri paesi occorre avere almeno 18 anni?

«Nella maggior parte dei Paesi si acquisisce il diritto di voto con la maggiore età, cioè quando si acquisisce la capacità giuridica di compiere tutti gli atti. In alcuni casi, si permette alle persone più giovani di votare per le elezioni amministrative (in Italia il Partito democratico apre le proprie primarie ai sedicenni). Raramente, e questo è il caso di Austria e Malta, si permette anche l’accesso a votazioni sovranazionali. Non conosco la ragione specifica di questa scelta ma con una buona probabilità è legata proprio alla volontà di rendere le giovani generazioni più responsabili e consce dei propri diritti. E doveri».

A suo avviso, questa limitazione dell’età allontana dai giovani stessi l’interesse per l’Europa?

«La mia preoccupazione è che li allontani in genere dalla politica, e quindi dalla gestione della “cosa pubblica”, non solo e non semplicemente dall’Europa. Se non possono votare o essere eletti, se non possono avere voce in capitolo, se non sono riconosciuti come interlocutori e al contrario, sono considerati incapaci di prendere scelte, perché mai dovrebbero interessarsene?».

Lei propone dunque di diminuire l’età dell’età dell’elettorato passivo a partire da queste prossime elezioni? Chi dovrebbe occuparsi di modificare l’art.4 delle legge18/1979?

«Sì, i tempi tecnici ci sono. Il Parlamento (cioè tanto la Camera quanto il Senato) dovrebbe semplicemente cambiare un numero all’interno dell’art. 4 della legge che norma le elezioni europee in Italia, cioè togliere “25” e inserire una cifra inferiore. Idealmente “18” ma sarebbe già un enorme successo anche “21”. Il tempo però è davvero poco: è evidente che la modifica debba essere fatta non entro il 26 maggio, giorno delle elezioni europee, bensì entro un mese prima, vale a dire entro l’ultimo giorno utile per la presentazione delle liste dei candidati. Non escludo che in materia possa intervenire anche il Governo con un decreto-legge specifico. So benissimo che la Costituzione esclude la materia elettorale dalla decretazione d’urgenza. Tuttavia, almeno una sentenza della Corte costituzionale sembra lasciare qualche spiraglio al fatto che alcuni elementi “secondari” che non riguardano esplicitamente il voto possano essere oggetto di decreto. I tempi, in questo caso, sarebbero molto più veloci e poi il Parlamento dovrebbe, nei successivi sessanta giorni, convertire il decreto in legge. Ma almeno a quel punto il dibattito sarebbe aperto e diffuso. Non credo comunque che tutti sarebbero d’accordo su questa procedura; ma forse varrebbe la pena di provare».

Cosa cambierebbe nell’Unione europea se la sua proposta fosse accolta?

«A differenza della politica, che ha l’esigenza elettorale ma miope di scelte che producano subito dei risultati, io mi aspetto che cambi ben poco nell’immediato futuro. Tanto più in Europa, dove europarlamentari di 18 anni possono già esistere; al di là da poche regole comuni, infatti, ognuno dei 27 paesi dell’Unione ha una certa libertà di scelta sulla propria legge elettorale. Nemmeno a farlo apposta, la differenza più indicativa riguarda proprio le età di accesso al diritto di elettorato attivo e passivo. Solo in Italia e Grecia si può essere eletti a 25 anni; in tutti gli altri 25 Paesi che parteciperanno alle elezioni europee, si può essere eletti a 23, 21 o addirittura a 18 anni! In Italia a 18 anni si può essere eletti sindaco di una città come Roma, Napoli o Milano, sposarsi, guidare un’automobile, ma non si può essere diventare deputati o eurodeputati. E c’è un elemento di discriminazione aggiuntivo: secondo le norme europee, un cittadino italiano residente in un altro paese può decidere di candidarsi secondo le regole di quel paese. In altri termini, secondo il luogo di residenza, due giovani italiani hanno diritti politici ed elettorali diversi. Mi sembra sufficiente per cambiare al più presto anche nel nostro Paese».

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